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Visualizzazione dei post da gennaio, 2021

SOTTO L’OMBRELLONE: IL ROMANZO DI UN FUORICLASSE

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Compendio puntuale per comprendere al meglio la figura di Alberto Tomba – eroe dello sci moderno e figura di punta nella tradizione degli sport invernali FILA – Il romanzo di un fuoriclasse , pubblicato nel 1992, ha una struttura complessa. Innanzitutto, oltre alla firma del campione bolognese porta quella di Leo Turrini, giornalista e scrittore specializzato in biografie (Lucio Battisti, Michael Schumacher). Secondariamente, è ricco di immagini firmate Penta Photo, agenzia foto giornalistica che dagli anni Ottanta segue i più importanti eventi sciistici internazionali. Infine, grazie all’intercessione dell’atleta, le parole si accompagnano a scatti provenienti dall’archivio privato della famiglia Tomba, garantendo così un documento di eccezionale unicità. Il romanzo di un fuoriclasse parte dal principio, ovvero da quando Alberto muove i primi passi sulla neve a soli tre anni, complice papà Franco che nel tempo libero fa l’istruttore. In Emilia non nevica spesso, eppure il giovane Tomb

110: SILENZI E CAMPIONI

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Le persone intorno a me parlano poco. Taciturno era Pierluigi, come già vi avevo raccontato: nel crearmi, l’artista si chiuse in lunghi silenzi, e gli unici suoni che ho saputo udire erano i fruscii del tessuto che prendeva nuova forma. Non parlava molto nemmeno lui, l’uomo arrivato dal freddo. Timido, introverso, nel fondo dei suoi occhi azzurri sedimentava il gelo dell’inverno svedese, che l’ha temprato sin da bambino. Tuttavia, la sua non è mai stata una presenza passiva. Alto e prestante, il suo corpo emanava onde d’energia. Anche quando non impugnava la racchetta da tennis, avevi l’impressione che i muscoli si protendano sempre verso l’esterno, fendendo l’aria con colpi guerrieri. Eravamo belli, siamo belli. Per lui mi sono impreziosita ancor di più: un’abbottonatura discreta, il colletto colorato e a contrasto, patch quadrangolari su petto e spalla. Nella teca sono circondata di silenzi, ma quando lui mi indossava qualcosa intorno a noi esplodeva. Lo stadio, i cuori dei tif

110: IL PENNARELLO ROSSO

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Il colore rosso del pennarello vibra come fuoco nel camino. Se non conoscessi la forza delle mie fibre, lo scheletro di costine di cui son fatta, penserei di essere neve destinata a sciogliersi. Invece eccomi, sono qua, materia che si forma nelle mani di un artista. Lo osservo all’opera, non tutti hanno il privilegio di accedere all’intimità dell’atto creativo. Di lui non so molto. Conosco gli occhi miti, che adesso mi guardano con concentrazione. La voce un po’ meno, è uno di quegli uomini che parlano di rado, solo se strettamente necessario. E la mano? Bè, quella l’ho osservata, nei giorni: forte, sicura, incarna con precisione la regia di ogni lavoro. Una settimana fa vi ho raccontato del mio animo semplice. Tacendo, però, sulla mia curiosità. Perché sono curiosissima, accidenti: ogni centimetro di quest’armatura in cotone vuole sapere con quali disegni quell’uomo mi abbellirà. Forse una cascata di fiori colorati, di quelle che adornano le forme femminili nei capolavori botticellian

110: DIETRO LA TECA

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Attraverso il vetro della teca, il mondo sembra il riflesso di un sogno. Sto sognando? In questa sala imbevuta di silenzio, è un dubbio che spesso mi viene. Osservo i volti degli atleti sui muri, le braccia che stringono coppe e medaglie lucenti, mi convinco che sì, probabilmente sto sognando. Esco poche volte da questo rifugio, quando accade mi trattano con i guanti. Letteralmente. Mani esperte mi curano, proteggono, ogni gesto infonde cautela. Mi domando cosa abbia fatto per meritare queste attenzioni. Il mio, in fondo, è un animo semplice. Non sono un vanitoso broccato, non conosco l’alterigia della seta. Vado fiera delle mie fibre di puro cotone, questo sì. Della purezza dell’acqua che mi ha fatto nascere e che ancora vedo scorrere lungo i monti biellesi – piccoli, lontani puntini dietro alle finestre. Un giorno, sempre dalla mia comoda teca, sento che qualcuno parla di me. Origlio. Una voce esperta racconta che la mia morbidezza deriva da macchinari strani chiamati tubolari. Graz