110: DIETRO LA TECA
Attraverso il vetro della teca, il mondo sembra il riflesso di un sogno.
Sto sognando? In questa sala imbevuta di silenzio, è un dubbio che spesso mi viene. Osservo i volti degli atleti sui muri, le braccia che stringono coppe e medaglie lucenti, mi convinco che sì, probabilmente sto sognando.
Esco poche volte da questo rifugio, quando accade mi trattano con i guanti. Letteralmente. Mani esperte mi curano, proteggono, ogni gesto infonde cautela. Mi domando cosa abbia fatto per meritare queste attenzioni. Il mio, in fondo, è un animo semplice. Non sono un vanitoso broccato, non conosco l’alterigia della seta. Vado fiera delle mie fibre di puro cotone, questo sì. Della purezza dell’acqua che mi ha fatto nascere e che ancora vedo scorrere lungo i monti biellesi – piccoli, lontani puntini dietro alle finestre.
Un giorno, sempre dalla mia comoda teca, sento che qualcuno parla di me. Origlio. Una voce esperta racconta che la mia morbidezza deriva da macchinari strani chiamati tubolari. Grazie ad essi, dice, il mio calore è in grado di avvolgere il corpo umano sotto strati di tessuto. Straordinario, penso: mi piace l’idea di difendere, sono un’agente speciale. Ma non è finita. La voce esperta aggiunge che il mio destino non è quello di rimanere sepolta sotto i vestiti, nascosta. Perché io sono il vestito. Prima di me, sui campi, gli atleti sono anonimi, spenti. Hanno bisogno di me per entrare nella leggenda.
Lo ammetto, mi piace il suono di queste parole. Sarò semplice, ma ciò non mi impedisce di provare un pizzico di sano orgoglio. Vivere in un sogno, far sognare gli altri.
Dietro la teca il mondo ha il contorno sfocato di un bel ricordo.
Le linee – parallele, impeccabili – guardano ogni giorno in direzione della vittoria.
110: FROM BEHIND THE SHRINE
Through the shrine’s glass, the world seems the reflection of a dream.
Am I dreaming? In this silence-soaked room, it’s a doubt that often comes to me. I observe the faces of the athletes on the walls, their arms holding shiny cups, I tell myself that yes, maybe I am dreaming.
I don’t go out of this shelter that often; when it happens, people treat me with gloves. Literally. Skilled hands take care of me, protect me, every single gesture is a shield. I wonder what I did to deserve such attentions. I’m not a vain brocade, I don’t know much about silk’s haughtiness. But I’m proud of my cotton fibers’ purity, I really am. The purity of the water that gave me life and that I can still on the Biellese mountains – small, far dots behind the windows.
One day, once again from the comfort of my shrine, I hear somebody talking about me. I eavesdrop. An expert voice is recounting of my softness coming from strange tubular machineries. Thanks to them, she says, my warmth is able to wrap the human body under layers of fabric. That’s extraordinary, I think: I like the idea of safeguarding, I’m a special agent. But that’s not all. The expert voice adds that my destiny is not to be hidden under the clothes. Because I am the cloth. Before me, on the playground, athletes were drab, dull. They need me to enter the legend.
I admit it, I like hearing the sound of these words. I may be simple, but this won’t stop me from feeling some little healthy pride. To live in a dream, to make someone else dream.
From behind my shrine, the world has the blurred outline of a nice memory.
The parallel, flawless lines look towards victory everyday.
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