SOTTO L’OMBRELLONE: IL ROMANZO DI UN FUORICLASSE

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Compendio puntuale per comprendere al meglio la figura di Alberto Tomba – eroe dello sci moderno e figura di punta nella tradizione degli sport invernali FILA – Il romanzo di un fuoriclasse , pubblicato nel 1992, ha una struttura complessa. Innanzitutto, oltre alla firma del campione bolognese porta quella di Leo Turrini, giornalista e scrittore specializzato in biografie (Lucio Battisti, Michael Schumacher). Secondariamente, è ricco di immagini firmate Penta Photo, agenzia foto giornalistica che dagli anni Ottanta segue i più importanti eventi sciistici internazionali. Infine, grazie all’intercessione dell’atleta, le parole si accompagnano a scatti provenienti dall’archivio privato della famiglia Tomba, garantendo così un documento di eccezionale unicità. Il romanzo di un fuoriclasse parte dal principio, ovvero da quando Alberto muove i primi passi sulla neve a soli tre anni, complice papà Franco che nel tempo libero fa l’istruttore. In Emilia non nevica spesso, eppure il giovane Tomb

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Alla fine degli anni. Settanta il successo di FILA è confermato da successi commerciali e vittorie atletiche, che si tratti di tennis (Biörn Borg è una presenza fissa nella Top Ten del ranking mondiale), o di alpinismo, con Reinhold Messner che inanella una cima dietro l'altra. Proprio a proposito dello scalatore di Bressanone Pierluigi Rolando ricorda, non senza autocompiacimento, di quando al ritorno da un’impresa gli confessò quanto gli piacesse la riga bianca orizzontale appena al di sotto del ginocchio di una tuta blu, terminante nella parte inferiore con un inserto verde mela. Come amava sottolineare lo stilista, “i colori dovevano armonizzarsi con il paesaggio circostante, e io mi esaltavo pensando a come le tonalità scelte per Reinhold potessero fondersi con la neve ed il ghiaccio”. Benché FILA fosse ormai una certezza (peraltro onnipresente negli stores mondiali), tuttavia, il tempo delle sfide non era finito e i primi anni Ottanta segnano il lancio di una collezione sci. Enrico Frachey, aggiornatissimo su tutto ciò che gravitava attorno al tema montagna, aveva anche in mente il testimonial ideale: Ingemar Stenmark, vincitore della Coppa del Mondo nello slalom gigante e speciale, nonché figura alta e slanciata per la quale inventare qualcosa di completamente nuovo. Rolando in persona racconta che fin dal principio per ‘Ingo’ era prevista una divisa gialla e blu, ispirata ai colori della bandiera svedese testimone delle sue origini. L’occasione era cruciale soprattutto per misurarsi con le sfide imposte dall’equipaggiamento tecnico: su tutte, la realizzazione di tute con specifiche protezioni per i gomiti. Lo stilista cominciò a lavorare da subito su un elemento capace di allontanare, durante la discesa, i paletti piantati sulla pista, attutendone altresì il contatto nell’attimo del contraccolpo. Rolando sapeva che una simile performance non poteva essere garantita dalla lana, quanto piuttosto dai nuovi tessuti elastici con cui il marchio stava iniziando a sperimentare ai tempi. Per l’ennesima volta l’ispirazione proviene dal DNA: nasce l’F-BAR, la forma ‘a biscotto’ mutuata dal logo del marchio che il designer appone ad altezza braccio sul giubbino progettato per Stenmark. Il team FILA opta per l’alluminio, materiale leggero e resistente al tempo stesso, contrapposto ad uno spessore minimo in gomma. L’insieme finale era un traguardo in termini estetici (“un’armatura medievale”, scrive Rolando); ben più importante, però, era la garanzia tecnica, e questo giustifica gli innumerevoli test in Val Senales, in Trentino, dove il campione svedese e la sua squadra si allenavano. A dispetto degli sforzi produttivi, il ‘giubbino Stenmark’ rimane un caso isolato nella storia FILA, che non viene replicato proprio a causa delle oggettive difficoltà di realizzazione. È forse proprio questo dettaglio, però, a sancirne il destino inequivocabile: lo status di pezzo da museo.


ENGLISH VERSION:  

MEET THE DESIGNER: PIERLUIGI ROLANDO - 10

At the end of the Seventies, FILA’s popularity was confirmed by commercial achievements and athletic feats, whether it be tennis (Björn Borg was a constant presence in world ranking’s Top Ten) or alpinism, with Reinhold Messner climbing the highest peaks one by one. Talking about Italian hiker, Pierluigi Rolando referred – not without self-satisfaction – when, back from climbing, he revealed that he loved the horizontal white line placed knee-high on a blue suit, ending up with green detail. As the designer underlined, ‘colors had to deal with the environment. I was amazed by thinking how the palette I chose for Reinhold could melt with ice and snow’.
However, although FILA’s success was confirmed was not over and the early Eighties marked the launch ok a ski collection. Enrico Frachey, up-to-date with everything was about mountains, also had the perfect testimonial in his mind: Ingemar Stenmark, winner of the World Cup and slender man for whom realize something completely new.
Rolando in person declared that since the very beginning ‘Ingo’ was supposed to wear a blue and yellow suit, according to the colors of the Swedish flag witnessing his origins. Such occasion was crucial also to deal with the challenges related to technical equipping: above all, the realization of suits with specific protections for elbows. The fashion designer started working on a component able to kick away the plastic sticks on the slopes, also protecting the body from the backlash. Rolando knew that such performance couldn’t be guaranteed by wool, but rather by the new synthetic fabric the brand was starting to experiment with at those times.
Once again, inspiration came from DNA: it was the birth of the so-called F-BAR, the ‘cookie’ shape borrowed from the company logo, put arm height on the jacket developed for Stenmark. The FILA team chose aluminum, light and resistant at the same time, juxtaposed to a minimum thickness made in rubber. The final result was appealing (‘a medieval armor’, Rolando wrote); however, the most important matter was the technical one, and this justifies the numerous tests in Val Senales, in Trentino Alto Adige’s valleys, where the Swedish champion and his team used to train.
Despite the production efforts, the Stenmark jacket remains an isolated case in FILA’s history, which wasn’t done again because of such objective difficulties in realization. Anyway, perhaps it’s this detail to set off its ultimate destiny as a museum piece. 



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