SOTTO L’OMBRELLONE: IL ROMANZO DI UN FUORICLASSE

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Compendio puntuale per comprendere al meglio la figura di Alberto Tomba – eroe dello sci moderno e figura di punta nella tradizione degli sport invernali FILA – Il romanzo di un fuoriclasse , pubblicato nel 1992, ha una struttura complessa. Innanzitutto, oltre alla firma del campione bolognese porta quella di Leo Turrini, giornalista e scrittore specializzato in biografie (Lucio Battisti, Michael Schumacher). Secondariamente, è ricco di immagini firmate Penta Photo, agenzia foto giornalistica che dagli anni Ottanta segue i più importanti eventi sciistici internazionali. Infine, grazie all’intercessione dell’atleta, le parole si accompagnano a scatti provenienti dall’archivio privato della famiglia Tomba, garantendo così un documento di eccezionale unicità. Il romanzo di un fuoriclasse parte dal principio, ovvero da quando Alberto muove i primi passi sulla neve a soli tre anni, complice papà Franco che nel tempo libero fa l’istruttore. In Emilia non nevica spesso, eppure il giovane Tomb

FONTI: I CATALOGHI VENDITE



Sviscerare un archivio non significa unicamente comprendere la storia da esso custodita, ma anche le dinamiche che hanno portato all’evoluzione della stessa.

Il mito di FILA oggi vive soprattutto grazie alle tecnologie digitali, ma dobbiamo pensare che non è sempre stato così. Una particolare categoria di oggetti proveniente da questo passato ‘analogico’ ha attratto la nostra attenzione: i cataloghi vendite.

Nell’era del cloud computing e della smaterializzazione dell’oggetto, osservare la fisicità di questi ‘libroni’ simili ad enciclopedie fa impressione. Faldoni ad anelli che tengono insieme decine e decine di pagine con scritte, immagini e fotografie: in apparenza un diario personale, erano in realtà diari di viaggio, che agevolavano la conoscenza e la vendibilità del marchio.

Da Biella, dipendenti FILA selezionati imbracciavano i cataloghi e personalmente si recavano dai grossisti per presentare loro le collezioni più recenti ed accattivanti: sembra quasi di immaginarli, negli anni Ottanta e Novanta, mentre li raccontano, invitando i commercianti a toccare con mano. Già, perché un catalogo vendita non è unicamente un’opportunità visiva, ma anche esperienziale. Appassionarsi di un abito era facile proprio perché era possibile accarezzare i campioni del tessuto in cui poteva venie prodotto.    

È tuttavia la vista il senso maggiormente coinvolto: le collezioni vantavano decine di modelli tra loro differenti e ognuno di essi era disponibile in innumerevoli varianti colore. Ogni pagina era dunque la tavolozza di un pittore, che offriva una scelta quasi infinita di look. Che dire, poi delle modelle e dei modelli fotografati? Nell’era delle campagne milionarie e delle pose studiatissime degli influencer, la spontaneità di questi volti è unica. Spesso non si trattava di professionisti ma di colleghi o addirittura parenti di questi ultimi essi. Sfogliando i faldoni sembra quasi che ti osservino, testimoni di un’epoca che non ritornerà, ma che ancora offre grande ispirazione ai designer.

Nella quale, ieri come oggi, indossiamo abiti FILA. Ed è forse questa consapevolezza che ci consente di sfogliare questi cataloghi vendita senza nostalgia o malinconia. Al contrario, infonde calore: la certezza che per quanto cambino le epoche, lo stile non ci abbandona.



ENGLISH VERSION:


SOURCES: SALES CATALOGS

Investigating an archive doesn’t only mean to understand the story it preserves, but also the dynamics that led to the evolution of the narration itself.

Today, the myth of FILA lives thanks to the most refined digital technologies, but we have to think it isn’t always been like this. A specific category of objects from this ‘analogic’ past caught our attention: sales catalogs.

In the era of cloud computing and dematerialization of the object, observing the physical appeal of these huge books similar to encyclopedias is impressive. Ring notebooks keeping together tens and tens of pages, paper sheets with writings, pictures and photographs: apparently a personal diary, they were travel notes actually, easing the knowledge of the brand, also in economic terms.

From Biella, selected FILA employees took the catalogs and visited wholesalers personally, in order to introduce them to the catchiest, most recent collections: it’s almost possible to imagine them – in between the Eighties and the Nineties – telling the buyers about the catalogs, inviting them to touch them with their own hands. Right, because a sales catalog isn’t only a visual opportunity, but also a sensorial one. Falling in love with an item was easy ‘cause it was possible to caress the samples of the fabrics it could be made of.

Anyway, it’s the eyes to be involved the most: the collections used to feature several different models, that could be produced in numerous color variants. Thus each page was a painter’s palette, offering an infinite choice of looks. What about the models, then? In the era of expansive fashion campaigns and elaborate influencers’ poses, the spontaneity of these faces remains unique. Anything but professionals (it was often about colleagues, even relatives), they look at us from every page, witnesses of an epoque that is not going to be back again, yet is still able to inspire creatives and designers.

In which, today as yesterday, we wear FILA clothes. Maybe it’s right this awareness to let us leaf through these sales catalogs without being nostalgic or feeling melancholy. On the contrary, it’s a warm comfort: the guarantee that – no matter how times may change – style will never leave us alone.

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