SOTTO L’OMBRELLONE: IL ROMANZO DI UN FUORICLASSE

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Compendio puntuale per comprendere al meglio la figura di Alberto Tomba – eroe dello sci moderno e figura di punta nella tradizione degli sport invernali FILA – Il romanzo di un fuoriclasse , pubblicato nel 1992, ha una struttura complessa. Innanzitutto, oltre alla firma del campione bolognese porta quella di Leo Turrini, giornalista e scrittore specializzato in biografie (Lucio Battisti, Michael Schumacher). Secondariamente, è ricco di immagini firmate Penta Photo, agenzia foto giornalistica che dagli anni Ottanta segue i più importanti eventi sciistici internazionali. Infine, grazie all’intercessione dell’atleta, le parole si accompagnano a scatti provenienti dall’archivio privato della famiglia Tomba, garantendo così un documento di eccezionale unicità. Il romanzo di un fuoriclasse parte dal principio, ovvero da quando Alberto muove i primi passi sulla neve a soli tre anni, complice papà Franco che nel tempo libero fa l’istruttore. In Emilia non nevica spesso, eppure il giovane Tomb

BORDOCAMPO: RAY GIUBILO


‘Posso accendere il ventilatore, vero? Fa un caldo, qui’. Non facciamo in tempo a raggiungerlo in videochiamata e subito Ray Giubilo ci coinvolge con la sua disarmante semplicità. Nato ad Adelaide, in Australia, ma trasferitosi in Italia in giovanissima età, Ray esordisce come fotografo fashion: alla fine degli anni Ottanta, però, viene introdotto al reportage sportivo, affermandosi come cantore del tennis per immagini. Pose plastiche, volti espressivi, giochi di luci e di ombre: i suoi scatti compongono un lessico personalissimo, raccontando la disciplina a 360°. In occasione della Giornata Mondiale della Fotografia, dialoghiamo con un grande autore, inaugurando una nuovissima rubrica di interviste. 

Dai servizi posati e patinati al dinamismo del campo da gioco: raccontaci come è iniziata la tua carriera, Ray.
Ho iniziato giovanissimo, negli anni Ottanta c’è stato un vero e proprio boom dei magazine di moda. Ero però anche appassionato di tennis, gioco che praticavo. Nell’89 rincontrai a Melbourne un vecchio amico che lavorava per Matchball e che mi procurò un pass per gli Australian Open. Da quel momento il resto è storia. Da sempre cerco di contaminare sport e glamour, dando attenzione ai capi e ai gesti: perché non sempre un colpo va a segno, ma la bellezza della posa rimane. 

La tua attività (Ray è anche Staff Photographer de Il tennis italiano, la più longeva rivista sull’argomento, ndr) ti ha inevitabilmente portato a conoscere (e immortalare) gli storici look FILA. Quale pensi sia il valore aggiunto che il Brand dà alla pratica tennistica?
Ho sempre adorato FILA, il suo stile unico, in continua evoluzione che ha sempre saputo valorizzare gli atleti. Basti pensare all’eleganza di Adriano Panatta o alla grinta di Kim Clijsters. Il mio lavoro non consiste solo nell’identificare l’azione, ma anche nell’esaltare un dettaglio estetico: ad esempio una scarpa a mezz’aria circondata da pezzetti di terra e ciuffi d’erba. 

Analogico VS digitale: l’annoso dibattito.
Le reflex non sono il male, ci mancherebbe, è la naturale evoluzione della tecnologia. Penso però che la facilità con cui oggi scattiamo e condividiamo foto ci conduca a pensare di essere tutti fotografi. La verità è che ognuno di noi può fare una bella foto; farne 100 belle, però, è un’altra storia. Nel mio lavoro è andato in disuso, ma dell’analogico mi mancano i tempi dilatati, le attese. Un pomeriggio, nel ’98, ero a Melbourne, scattavo da un tetto: a un certo punto, alle cinque e mezzo del pomeriggio, ho individuato la lunga ombra di una tennista allungarsi sul campo nell’ora più magica della giornata. Ho scattato la mia foto e portato il rullino a sviluppare, per la stampa finale ho dovuto attendere sino al mattino dopo. Ecco, mi manca quella curiosità, l’eccitazione che tieni dentro di te per tante ore.

Quali sono i tornei più ‘fotogenici’?
Parigi e Wimbledon sono senza dubbio i miei preferiti. Aggiungerei il Centrale di Roma. Il Foro Italico è qualcosa di unico: ha saputo rinnovarsi tecnologicamente, pur mantenendo un allure classico e fascinoso.

Nel 2006 David Foster Wallace, l’ultimo grande innovatore della narrativa americana, pubblica Il tennis come esperienza religiosa, mini-saggio che trasforma una cronaca sportiva in un elogio del tennis, descritto come evento dai contorni mistici. Qual è la tua personale definizione di questa disciplina che – non con le parole, bensì tramite immagini – anche tu hai imparato a narrare con poesia?
Conosco bene il libro di Wallace, che amo al pari de I gesti bianchi di Gianni Clerici. Ritengo che il tennis sia uno sport nobile, nel quale i due avversari non si sfiorano né toccano mai. La dinamica che porta due persone ad imparare a conoscersi, a studiarsi per ore per fare una cosa alla fine banalissima: colpire una pallina. È una dimensione psicologica, una raffinata partita a scacchi.



ENGLISH VERSION:

COURTSIDE: RAY GIUBILO

‘Can I turn on the fan? It’s so hot, in here’. As we video call Ray Giubilo, he istantly engages us with charming openness. Born in Adelaide, Australia, but living in Italy since his early childhood, Ray debuts as a fashion photographer: however, at the end of the Eighties he has been introduced to the sport scene, emerging as the best tennis press photographer. Plastic poses, expressive faces, light and shadow effects: his shots create a personal visual language which is able to describe such discipline in the most complete way. On the occasion of the World Photography Day, we talk with a great artist, and also launch a new blog column dedicated to interviews.

From studio shootings to dynamic tennis courts: tell us how your career began, Ray.
I started when I was very young, in the Eighties there has been a real fashion magazines boom. However, at the same time I was much into tennis, a sport I also practiced. In 1989 I met an old friend in Melbourne who worked for Matchball, he gave me a pass for the Australian Open. Since then, the rest is history. I’ve always tried to mix sport and glamour, paying attention to clothes and gestures: because a slam doesn’t always work, but the beauty of a pose remains.

Your activity (Ray is also Staff Photographer for Il Tennis Italiano, the oldest magazine about this topic, ed.) inevitably led you to meet (and picture) the best FILA looks. In your opinion, which is the added value that the brand gives to the tennis practice?
I’ve always loved FILA – its unique style has always been able to evolve, always enhancing the athletes’ performances. Think about Adriano Panatta’s charme, or Kim Clijsters’s fierce. My aim isn’t only to identify a specific action, but also to underline an aesthetic detail, such as a flying sneakers surrounded by small pieces of ground and tufts of grass.

Analog VS digital: the eternal debate.
Reflex cameras are not evil, of course: it’s the natural evolution of technology. However, I think the ease through which we take and share pictures nowadays lead us to think we can all be photographers. The truth is that each of us can shoot a good pic, but being able to shoot a hundred good ones is another story. What I miss of analog photography is dilated times, waits. On a 1998 afternoon I was in Melbourne, shooting from the top of a roof: at a certain moment, at 5:30pm, I saw the long shadow of a tennis player extending on the court – it was the most magical time of the day. I took my pic and brought the film to develop, I had to wait the day after for the final print. I miss that curiosity, the excitement you keep inside of you for hours and hours.

Which are the most photogenic tournament?
Paris and Wimbledon are definitely my favorite ones. I would add Roma’s Centrale too. The Foro Italico is something unique: it has been able to reinvent itself from a technological point of view, maintaining a classic, charming allure.

In 2006 David Foster Wallace, the very last innovator of American narrative, published a brief essay in which sports reporting turns into a celebration of tennis, described as a mystical event. Which is your personal definition of this discipline?
I know about Wallace’s book very well – I would also recommend I gesti bianchi by Gianni Clerici. I think that tennis is a noble practice, in which two opponents never touch each other. It’s a dynamics through which two persons get to know, sizing each other up for hours just to do a very simple thing: to hit a ball. It’s a psychological dimension, a refined game of chess.

All photographs courtesy Ray Giubilo

Commenti

  1. Provo una gioia profonda nel leggere le parole di mio figlio.Sono pagine bellissime e lascio agli altri i commenti.I miei sono troppo ovvi.

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